Per l'Italia tempo utile per riforme e rinnovamento sociale e politico
Alcuni brani tratti dalla Prolusione del Card. Angelo Bagnasco, aprendo a Roma il Consiglio Permanente della CEI (tratto da Avvenire del 28 settembre 2010)
Sconcerto e acuta pena per le discordie.
6. Nel nostro animo di sacerdoti, siamo angustiati per l'Italia. È anche il
nostro Paese, vi sono radicate le nostre Chiese, ci vivono i nostri fedeli,
da secoli vi risuona il Vangelo, con il quale saremmo pronti a dare la
nostra stessa vita (cfr 1Ts 2,8). Anche a noi è capitato di vivere,
nell'ultimo periodo, momenti di grande sconcerto e di acuta pena per
discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo
il contorno di conflitti apparentemente insanabili; e questi sono diventati
a loro volta pretesto per bloccare i pensieri di un'intera Nazione, quasi
non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni. Siamo angustiati per
l'Italia. Non per un'idea o l'altra - comunque astratte - dell'Italia, ma
per l'Italia concreta, fatta di persone e comunità, ricca di risorse umane,
avvezze a lavorare senza il timore della fatica, capaci di intraprendere e
di creare, di applicarsi senza tregua, con fantasia e dedizione. Nazione
generosa e impegnata, che però non riesce ad amarsi compiutamente, facendo
fruttare al meglio sforzi e ingegno; che non si porta a compimento, in
particolare in ciò che è pubblico ed è comune. Anche l'innegabile influsso
di una corrente di drammatizzazione mediatica, che sembra dedita alla
rappresentazione di un Paese ciclicamente depresso, finisce per condizionare
l'umore generale e la considerazione di sé.
Dovremmo invece essere stabilmente capaci della giusta auto-stima, senza
cesure o catastrofismi, esattamente così come si è ogni giorno dedicati al
lavoro che dà sostentamento alla propria famiglia. La verità delle
situazioni non si sottomette a semplificazioni unilaterali, e spesso
richiede un processo complesso e discreto, mentre in troppi si accontentano
di piccole porzioni di verità, reali ma limitate, assolutizzate e urlate. A
momenti, sembriamo appassionarci al disconoscimento reciproco, alla
denigrazione vicendevole, e a quella divisione astiosa che agli osservatori
appare l'anticamera dell'implosione, al punto da declassare i problemi reali
e le urgenze obiettive del Paese. Alla necessaria dialettica si sostituisce
la polemica inconcludente, spingendosi fino sull'orlo del peggio. Poi, alla
vista dell'esito estremo, si raddrizza il tiro, ci si riprende; si tira un
respiro di sollievo per scampato pericolo, finendo tuttavia - altro guaio -
per tenere uno sguardo affezionato a quello che in precedenza era stato il
campo di battaglia. Si preferisce indugiare con gli occhi tra le macerie,
cercare finti trofei, per tornare a riprendere quanto prima la guerriglia,
piuttosto che allungare lo sguardo in avanti, disciplinatamente orientato
sugli obiettivi comuni, per i quali è richiesta una dedizione persistente e
convergente.
Riforme indispensabili, stile necessario.
7. Nonostante alcuni risultati nel tempo, la nostra amata Italia sembra, su
alcuni fronti, tornare sempre al punto di partenza: istruisce i problemi,
comincia a metter mano alle soluzioni, ma non riesce a restare concentrata
sull'opera fino a concluderla. Da decenni si parla di riforme, le si
scandisce, e - tuttavia - quando saranno varate? Quando si arriverà al
confronto serio e decisivo, quello che non è perdita di tempo, ma ricerca
della mediazione più alta e sollecita possibile? Il Paese non può
attardarsi: povero di risorse prime, più di altri deve far conto
sull'efficienza del sistema e su una sempre più marcata valorizzazione delle
risorse umane. Bisogna, per questo, avviare meccanismi di coinvolgimento e
di partecipazione non fittizi. Qui, qualche interessante segnale c'è,
seppure molte restano ancora le resistenze. Le sfide derivanti dalla
globalizzazione impongono una quota di flessibilità e adattabilità che non
può essere artificiosamente ostacolata, ma neppure strumentalmente usata per
indebolire la dignità di chi lavora.
Se partecipazione si vuole, ed è sempre più necessaria, occorre che vi siano
i requisiti perché ogni parte in causa esprima il meglio - non il peggio -
di sé. È il momento di deporre realmente i personalismi, che mai hanno a che
fare con il bene comune, e di mettere in campo un supplemento di reciproca
lealtà e una dose massiccia di buon senso per raggiungere il risultato non
di individui, gruppi o categorie, ma del Paese. La fiducia che i cittadini
esprimono verso chi li rappresenta è un onore e una responsabilità che non
ammette sconti di nessun tipo. Cambiare si può. Le famiglie reagiscono, le
persone crescono, e anche la collettività può farlo nella misura in cui
comprende che l'esito di progresso diventa pane condiviso. E bisogna far
presto! Il nostro vigoroso invito a rilevare la moralità intrinseca ai
processi di innovazione non nasconde alcun conformismo. Lo facciamo non per
un'idea esorbitante del nostro ruolo, ma per il comandamento che impone
anche a noi di amare Dio sopra ogni cosa, e insieme - ma è solo l'altra
faccia della medaglia - di difendere chi è indifeso, sia che si veda sia che
non si veda ancora. Bisogna comprendere che se si ritardano le decisioni
vitali, se non si accoglie integralmente la vita, se si rinviano senza
giusto motivo scadenze di ordinamento, se si contribuisce ad apparati
ridondanti, se si lasciano in vigore norme non solo superate ma dannose, se
si eludono con malizia i sistemi di controllo, se si falcidia con mezzi
impropri il concorrente, se non si pagano le tasse, se si disprezza il
merito... si è nel torto, si cade nell'ingiustizia. Ma lo scopo di ogni
partecipazione politica è proprio la giustizia, e per questo occorre
produrre lo sforzo necessario - cui la Chiesa non mancherà moralmente di
contribuire - per superare la logica del favoritismo, della non trasparenza,
del tornaconto. A tutela della società ci sono le forze dell'ordine, ma è
vile scaricare su di loro ciò che meglio si risolve attraverso relazioni
sociali vigili e coscienziose. Quando le risorse si fanno più misurate,
anche gli sprechi e il lusso ostentato diventano meno tollerabili. In
qualunque campo, quando si ricoprono incarichi di visibilità, il contegno è
indivisibile dal ruolo.
Quando si ha responsabilità di scrittura o di parola pubblica, si può essere
penetranti senza sfiorare il sopruso o scivolare nella contesa violenta. Il
linguaggio in uso nella scena pubblica deve essere confacente a civiltà ed
educazione. Fa malinconia l'illusione di risultare spiritosi o più
"incisivi", quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale.
Svuotare le parole, o renderle equivalenti quando non lo sono, è - a modo
suo - un furto. Come Vescovi, sentiamo di dover esprimere stima e
incoraggiare quanti si battono con abnegazione in politica; facciamo
pressione perché si sappiano coinvolgere i giovani, pur se ciò significa
circoscrivere ambizioni di chi già vi opera. Ai cattolici con doti di mente
e di cuore diciamo di buttarsi nell'agone, di investire il loro patrimonio
di credibilità, per rendere più credibile tutta la politica. Lasciamo
volentieri ai competenti il compito di definire i modi di ingaggio e le
regole proprie della convivenza. A noi tocca però segnalare come una «città»
la si costruisca tutti insieme, dall'alto e dal basso, in una sfida che non
scova alibi nella diserzione altrui. Le maturazioni generali hanno bisogno
di avanguardie: ognuno deve interrogarsi se è chiamato a un simile compito.
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